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Laurea honoris causa a Don Vinicio Albanesi

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michael

MACERATA – La laurea honoris causa a Don Vinicio Albanesi.

“Rovescia i paradigmi dei percorsi formativi e fa vivere nella stessa aula i presunti abili e le persone con disabilità, rovescia e mette in contatto diversi linguaggi, diverse emozioni, diverse storie per fare dell’università il luogo della libertà, parità, eguaglianza, inclusione nella loro forma più sostanziale”.

E’ il quadro tracciato dal rettore Francesco Adornato questa mattina all’apertura della cerimonia con cui il prestigioso riconoscimento è stato conferito a “un uomo di Chiesa e del Sociale”, come lo ha definito la professoressa Catia Giaconi durante la sua laudatio. In tanti sono accorsi a rendere omaggio al neo laureato in scienze pedagogiche, anche dalla Comunità di Capodarco di Fermo, almeno in cinquanta, insieme a docenti, autorità, studenti. “Un aspetto qualificante l’opera di Don Albanesi è la sua intuizione che il fenomeno dell’emarginazione non fosse una questione strettamente connessa alla disabilità fisica, ma più vasta a livello sociale” ha sottolineato Catia Giaconi, ricordando le emergenze affrontate da questo “prete di strada, come la disabilità fisica, la tossicodipendenza, i cosiddetti “ex manicomiali”, l’accoglienza dei minori non accompagnati, il “Dopo di noi”, estendendo l’assetto pedagogico della Comunità di Capodarco di Fermo anche fino in Albania, Ecuador, Camerun, Guatemala, Kosovo e Brasile.

“Parole e azioni sono costantemente volte all’attitudine, alla cura e alla realizzazione di spazi di partecipazione sociale e d’integrazione, ad appannaggio di tutti e di ciascuno”, ha ribadito Michele Corsi, direttore del Dipartimento di Scienze della formazione, beni culturali e turismo. Un lungo applauso ha accompagnato la proclamazione del laureato. Rovescia i paradigmi, Don Vinicio, rovescia convenzioni, stereotipi e pregiudizi appena prende la parola. “Avevo preparato un discorso ma lo devo cambiare”, ha detto. “Mi volete troppo bene e questo mi ha commosso. Vedo qui rappresentanti in questa sala moltissimi mondi: il mondo dello studio e dell’università, le autorità, gente che evidentemente mi vuole bene e ha voluto manifestarlo”. E mentre indossa la toga, il pensiero va a un gesto per lui abituale, la vestizione per la messa domenicale. “Mi ha fatto pensare agli inizi delle università nel medioevo, per cui si ricongiungono certi rituali e certi simboli che hanno origine secoli fa”. Quindi, la lezione, che parte dalla vita. Gli inizi in seminario, dove l’addestramento alla solitudine, alla fatica e alla sofferenza trasformavano i bambini in adulti “frustrati ma non depressi”, in grado di affrontare le asperità dell’esistenza. La vocazione: “Ho letto nelle circostanze della mia vita la mano di Dio. Prete ti consacrano, ma ci devi diventare. Io ho incontrato Dio molto tardi, leggendo il compendio della summa teologica di San Tommaso D’Aquino, che scrive che l’amore di Dio e l’amore per il prossimo sono un unico comandamento”. Il suo impegno nel sociale, quando, fresco di laurea all’Università Gregoriana a Roma, va da Don Franco Monterubbianesi, che aveva fondato la Comunità. E, commentando tutte le sue opere ricordate da Giaconi, ha sottolineato: “Non mi sono inventato nulla, ho ascoltato le istanze del territorio”.

Alla fine, la sua raccomandazione. “All’inizio prevalevano buona volontà e buon senso. Col tempo si sono intensificate le professionalità. Ma non dimentichiamo le prime: comprensione, sollecitudine, benevolenza, cortesia, mitezza, gratuità, gratitudine, perdono, testimonianza, paternità, maternità, fratellanza, aiuto economico e tempo. La povertà più grande che esiste – ha concluso – è non avere a disposizione il proprio tempo, perché significa che la tua vita la metti a disposizione degli altri”.

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